L'Itaca Che Non C'è
Itaca… La gioia del ritorno a casa dopo la fatica e le insidie di un lungo viaggio… E’ questa l’Itaca di Routy Miura?
Ascoltando una dopo l’altra le tracce del disco, assaporandole con attenzione seguendone il flow, avevo qualche difficoltà a immaginare che esso potesse trovare la sua ideale conclusione nella quiete del riposo a Itaca. Salvo pensare che, al termine dell’articolato peregrinare nel quale Routy coinvolge cuore e mente dell’ascoltatore, dopo avere egli stesso per primo viaggiato in un vasto universo musicale, letterario, filosofico, ma anche in quello del più ordinario vivere quotidiano, sia giusto e anzi quasi necessario mettere fine al dolore e alla pena che il viaggiatore ha succhiato alla vita.
E quindi sì, qualche buona ragione c’era per tenere insieme viaggi della speranza (Casa mia), viaggi della psiche (Memento) e dell’anima (Il varco), viaggi e dialoghi di cielo (Icaro, Canto notturno), naturalmente viaggi di mare (Nessuno), raccogliendoli sotto questo nome: Itaca.
Come a dire: la quiete dopo la tempesta…
Eppure questa conclusione è forse un po’ troppo rassicurante. Non è precisamente questa – pensai – l’Itaca di Routy Miura… E così mi venne da dire che la sua è l’Itaca che non c’è.
Quando condivisi questi miei pensieri con l’autore, egli ne fu entusiasta a tal punto da dare forma a una nuova e ultima traccia, appunto “L’Itaca che non c’è”. E allora nel titolo dell’album e nel nome che esso evoca deve essere colta un’“astuzia” degna di Ulisse, che dovrebbe spingere a non fare confusione e a distinguere tra un semplice approdo e il raggiungimento della meta.
Itaca – la canzone, ma poi l’intero disco – non conduce alla quiete, ma ci parla di un’inquietudine, quella di Routy innanzitutto e anche quella di chi come lui guarda la vita standone dentro e fuori, incrociandone la “grande bellezza” e le troppe miserie, e la interroga prendendola a volte per la giacca fino quasi a strappargliela, in attesa di una risposta, quella sì capace di dare requie all’inquietudine.
E così Itaca è solo un approdo temporaneo, peraltro neppure troppo rassicurante se anche Ulisse, ritornandovi, deve assumere le sue precauzioni. Ed è anche come una nostalgia, che però non è rivolta all’indietro, ma guarda nel profondo, in avanti e verso l’alto.
«Come Montale cerco il varco…». E’ da qui che dovrebbe essere tirata fuori la cifra del disco, dei suoi versi mai banali, eco di tante buone letture, ma anche di sdruciture che oramai senti che ti appartengono e che non puoi cancellare; la cifra del suo rappare sofferto, a testa alta e a testa bassa, e che ti sorprende e quasi si sorprende esso stesso, per le tante corde che fa vibrare traccia dopo traccia.
«Itaca» è il primo disco di Routy Miura, che si affaccia sulla variegata scena del rap italiano già con una sua precisa identità artistica. Il “giovane Routy” lascia il proscenio al suo più maturo successore, consegnandogli però il testimone della stessa – estrema – sincerità, che è quella di chi si mette a nudo sapendo come farlo e ti muove il cuore confidandoti un segreto: «e se muoio in ogni verso è che in ogni verso vivo».
La “vita” per Routy, come ci dice nell’Intro, è una vita «Senza tetto» (quasi a mettere l’ascoltatore almeno sull’avviso dell’astuzia che la sua Itaca ci aveva preparato). Perciò i guai ti piovono proprio addosso… ma così puoi anche vedere la luna e le puoi parlare e puoi seguire il movimento delle stelle.
E anche per quello che c’è “oltre il varco” puoi trovare la parola appropriata… il silenzio. E augurarti di ascoltarne almeno l’eco.
Ascoltando una dopo l’altra le tracce del disco, assaporandole con attenzione seguendone il flow, avevo qualche difficoltà a immaginare che esso potesse trovare la sua ideale conclusione nella quiete del riposo a Itaca. Salvo pensare che, al termine dell’articolato peregrinare nel quale Routy coinvolge cuore e mente dell’ascoltatore, dopo avere egli stesso per primo viaggiato in un vasto universo musicale, letterario, filosofico, ma anche in quello del più ordinario vivere quotidiano, sia giusto e anzi quasi necessario mettere fine al dolore e alla pena che il viaggiatore ha succhiato alla vita.
E quindi sì, qualche buona ragione c’era per tenere insieme viaggi della speranza (Casa mia), viaggi della psiche (Memento) e dell’anima (Il varco), viaggi e dialoghi di cielo (Icaro, Canto notturno), naturalmente viaggi di mare (Nessuno), raccogliendoli sotto questo nome: Itaca.
Come a dire: la quiete dopo la tempesta…
Eppure questa conclusione è forse un po’ troppo rassicurante. Non è precisamente questa – pensai – l’Itaca di Routy Miura… E così mi venne da dire che la sua è l’Itaca che non c’è.
Quando condivisi questi miei pensieri con l’autore, egli ne fu entusiasta a tal punto da dare forma a una nuova e ultima traccia, appunto “L’Itaca che non c’è”. E allora nel titolo dell’album e nel nome che esso evoca deve essere colta un’“astuzia” degna di Ulisse, che dovrebbe spingere a non fare confusione e a distinguere tra un semplice approdo e il raggiungimento della meta.
Itaca – la canzone, ma poi l’intero disco – non conduce alla quiete, ma ci parla di un’inquietudine, quella di Routy innanzitutto e anche quella di chi come lui guarda la vita standone dentro e fuori, incrociandone la “grande bellezza” e le troppe miserie, e la interroga prendendola a volte per la giacca fino quasi a strappargliela, in attesa di una risposta, quella sì capace di dare requie all’inquietudine.
E così Itaca è solo un approdo temporaneo, peraltro neppure troppo rassicurante se anche Ulisse, ritornandovi, deve assumere le sue precauzioni. Ed è anche come una nostalgia, che però non è rivolta all’indietro, ma guarda nel profondo, in avanti e verso l’alto.
«Come Montale cerco il varco…». E’ da qui che dovrebbe essere tirata fuori la cifra del disco, dei suoi versi mai banali, eco di tante buone letture, ma anche di sdruciture che oramai senti che ti appartengono e che non puoi cancellare; la cifra del suo rappare sofferto, a testa alta e a testa bassa, e che ti sorprende e quasi si sorprende esso stesso, per le tante corde che fa vibrare traccia dopo traccia.
«Itaca» è il primo disco di Routy Miura, che si affaccia sulla variegata scena del rap italiano già con una sua precisa identità artistica. Il “giovane Routy” lascia il proscenio al suo più maturo successore, consegnandogli però il testimone della stessa – estrema – sincerità, che è quella di chi si mette a nudo sapendo come farlo e ti muove il cuore confidandoti un segreto: «e se muoio in ogni verso è che in ogni verso vivo».
La “vita” per Routy, come ci dice nell’Intro, è una vita «Senza tetto» (quasi a mettere l’ascoltatore almeno sull’avviso dell’astuzia che la sua Itaca ci aveva preparato). Perciò i guai ti piovono proprio addosso… ma così puoi anche vedere la luna e le puoi parlare e puoi seguire il movimento delle stelle.
E anche per quello che c’è “oltre il varco” puoi trovare la parola appropriata… il silenzio. E augurarti di ascoltarne almeno l’eco.
Leonardo Messinese